San Francesco e il crudo sasso della Verna

Nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l’ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.

Paradiso, XI, 106-108

Se volessimo parafrasare alla lettera questa terzina dantesca, potremmo scrivere che sulla cima rocciosa tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni. Ma di quale cima rocciosa si tratta? E chi è il soggetto della frase? Per comprenderlo, partiamo dall’inizio dello splendido canto XI del Paradiso dantesco.

San Francesco nel Paradiso dantesco attraverso le parole di San Tommaso

Siamo nel cielo del Sole, a parlare è lo spirito di San Tommaso d’Aquino, che Dante e la nostra Beatrice avevano incontrato già nel canto precedente. L’anima beata di San Tommaso sta spiegando al poeta pellegrino che Dio, per amore della Chiesa, dispose due guide che la conducessero verso il bene, San Francesco e San Domenico, fondatori dei due grandi ordini monastici del secolo XII, i quali avevano come loro scopo fondamentale la riforma morale del mondo cristiano.

E’ a questo punto che San Tommaso inizia la celebrazione della figura e dell’opera di Francesco d’Assisi, mettendo in rilievo le caratteristiche della sua personalità e i momenti più importanti della sua vita e della sua azione. Ecco allora che ci narra come sulla costa del monte Subasio nasce il nuovo sole del mondo. Prima di presentare la figura di San Francesco, infatti, il Poeta presenta il luogo in cui egli nacque e l’ambiente in cui incominciò a svolgere la sua missione. Fra le valli del Topino e del Chiascio si eleva un massiccio montuoso, la cui cima più alta è proprio il Subasio, il monte su cui sorge Assisi:

Però chi d’esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Oriente, se proprio dir vole (vv. 52-54).

In questa terzina, Dante sottolinea la rispondenza fra sole vero e sole figurato, poiché egli, nell’antico nome di Assisi – Ascesi – vede il significato di “ascendere”. Così, con la nascita di Francesco ad Assisi nasce il nuovo sole.

L’uomo che sposò la povertà

San Tommaso poi ricorda la rinuncia di Francesco ai beni terreni per abbracciare e sposare l’assoluta Povertà, rinuncia fatta davanti alla curia vescovile della sua città e alla presenza del padre. Francesco, infatti, figlio del mercante Pietro Bernardone, abbandonò le cose del mondo e iniziò la sua vita di ascesi nel 1206, all’età di ventiquattro anni. Fondamento della sua nuova vita e della sua dottrina fu l’amore per la povertà. Per essa dovette lottare contro la fierezza del padre, che giunge a citarlo davanti alla curia vescovile di Assisi. In quell’occasione Francesco, non solo rinunciò a tutti i suoi beni, ma in presenza del vescovo e del popolo restituì al padre anche gli abiti che indossava

San Francesco “dipinto” da Dante

I versi di Dante e le immagini che essi evocano sono quasi degli scomparti d’affresco, che illustrano e accompagnano la storia. Una storia d’amore tra Francesco e la Povertà: un sentimento tutto dantesco, di uomo vivo. La storia di questo amore continua a svolgersi, infatti, con il dinamismo proprio dell’affresco, dove le singole scene si susseguono senza interruzione le une alle altre, su uno sfondo di oro e d’azzurro.

San Tommaso continua spiegando che a Roma, il poverello di Assisi ottiene l’approvazione del proprio ordine prima da Innocenzo III e poi da Onorio III. In seguito, recatosi in Oriente, Francesco cerca di diffondere in quelle terre la parola di Cristo, ma fallito questo tentativo, deve tornare in Italia. Ed ecco che qui, proprio sul monte della Verna, riceve, due anni prima di morire, le sacre stimmate.

Nel 1224 Francesco, mentre si trovava sulla Verna, per un periodo di solitudine e penitenza, ricevette direttamente da Cristo l’ultimo riconoscimento, il più grande, della sua missione. Di nuovo il poeta ci dona un bellissimo schizzo panoramico: nel crudo sasso intra Tevero e Arno (v. 106). I luoghi qui citati da Dante ci appaiono oggi sicuramente diversi da come dovevano essere agli inizi del Trecento. Nel 1213 il Conte Cattani, signore di Chiusi della Verna, donò il Sacro Monte a San Francesco d’Assisi cosicché questi vi erigesse un convento. Oggi il Santuario si trova immerso nella cornice naturale della splendida faggeta secolare, in un luogo di pace e meditazione.

Ma torniamo alla Commedia e concludiamo la narrazione di San Tommaso, fino al momento in cui Francesco muore sulla nuda terra, raccomandando madonna Povertà ai suoi seguaci ed eredi:

Quando a colui ch’a tanto ben sortillo 
piacque di trarlo suso a la mercede 
ch’el meritò nel suo farsi pusillo,

a’ frati suoi, sì com’a giuste rede, 
raccomandò la donna sua più cara, 
e comandò che l’amassero a fede;

e del suo grembo l’anima preclara 
mover si volle, tornando al suo regno, 
e al suo corpo non volle altra bara (vv. 109-117).

Verso l’iconografia francescana di Cimabue e Giotto

Con la narrazione delle vita di San Francesco, accompagnata da descrizioni paesistiche dettagliate, naturalistiche, che si appoggiano a dati concreti, Dante diventa, potremmo dire, il capostipite di una iconografia del Santo e delle sue storie, che troverà una traduzione figurativa di ineguagliabile livello nelle creazioni di Cimabue e Giotto. Ma questa è un’altra storia, di cui vi parleremo sicuramente, ma nei prossimi giorni. Adesso vi lasciamo con una carrellata di splendide immagini, tutte da gustare con occhi pieni di ammirazione.

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Cimabue, Madonna in trono con Angeli e Santi, particolare della figura di San Francesco, 1278-1280 ca, affresco, Assisi, Basilica Inferiore di San Francesco.

Giotto, San Francesco dona il mantello al cavaliere povero, 1297-1299, affresco, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco.

Giotto, San Francesco rinuncia ai beni terreni, 1325-1328, affresco, Firenze, Basilica di Santa Croce, Cappella Bardi.

Giotto, Il pontefice Innocenzo III approva la regola francescana, 1297-1299, affresco, Assisi, Basilica Superiore di San Francesco.

Giotto, San Francesco presenta la regola al pontefice Onorio III, part., 1325-1328, affresco, Firenze, Basilica di Santa Croce, Cappella Bardi.

Giotto, Morte di San Francesco, part., 1325-1328, affresco, Firenze, Basilica di Santa Croce, Cappella Bardi.

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Bibliografia e sitografia

Dante Alighieri, La Divina Commedia, con prefazione di Giuseppe Ungaretti, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1965
I luoghi di Dante, sito web Il bel Casentino, https://www.ilbelcasentino.it/luoghi-dante-seq.php?idimg=7816
Chiusi della Verna, sito web Le Vie di Dante, https://www.viedidante.it/citta/chiusidellaverna/

Fonte immagini.

Piccarda si racconta… – Parte 1

Forse pochi di voi mi conoscono e lo capisco… Effettivamente non sono nota quanto Beatrice o Francesca di cui tutti bene o male hanno sentito parlare almeno una volta, ne hanno conosciuto le storie o letto passi della Divina Commedia in cui sono protagoniste. Ecco, quindi, che ho deciso di raccontare al meglio me, la mia famiglia, il mio mondo! Anche perché, non solo sono presente nell’opera più importante di Dante Alighieri, ma io quest’uomo lo conoscevo personalmente!

Abitavamo nello stesso quartiere, a pochi passi l’uno dall’altra, e mia cugina Gemma un giorno divenne sua moglie. Le nostre famiglie si conoscevano da tempo e noi figli siamo cresciuti insieme per i vicoli stretti del quartiere di San Pier Maggiore. Io avevo due fratelli, Corso e Forese, che col tempo divennero amici di Dante, anche se poi crescendo i rapporti andarono in parte incrinandosi poiché, quando ci fu la scissione dei Guelfi in Bianchi e Neri, mentre l’Alighieri si schierò con i primi, la mia famiglia preferì la seconda fazione

Forese Donati, “amico di penna” di Dante

Forese Donati, mio fratello, era conosciuto a Firenze anche per essere un verseggiatore poiché amava dilettarsi nello scrivere e, pensate, addirittura scambiò sonetti burleschi proprio con Dante in una Tenzone scritta forse tra il 1293 e il 1296. I due, in queste poesie, si prendevano gioco l’uno dell’altro, per divertimento! Eh però, alcune verità sotto sotto c’erano… Del resto come dite voi? Arlecchino si confessò burlando! Se da una parte l’Alighieri accusava mio fratello di non soddisfare la moglie Nella tra le mura intime di casa, Forese cercava di colpire Dante sul suo lato economico, effettivamente poco cospicuo, poi incrinato dal mestiere turpe del padre Alighiero, sospettato e conosciuto da molti come usuraio (esercizio mal visto anche dallo stesso Dante che colloca le anime colpevoli di tale peccato nel III girone del VII cerchio dell’Inferno, classificandoli come “violenti contro Dio” addirittura!).


Ma l’invettiva più forte nei confronti di mio fratello fu quella riguardante la gola tanto che poi Dante lo inserì nel Purgatorio proprio nella cornice (VI) dei golosi. Se in vita mio fratello ha potuto godere del cibo e del vino, nell’Aldilà è costretto a sentir per l’eternità la mancanza di questi vizi. Quando i due si incontrarono nel regno dei morti ebbero una lunga conversazione e tra i tanti discorsi Dante chiese a mio fratello quale fosse stato il mio destino e questo gli preannunciò la mia beatitudine in Paradiso, ma parlarono anche dell’altro mio fratello, Corso…

Corso Donati, da compagno di battaglia a Campaldino a nemico politico

Questo è, molto probabilmente, più conosciuto di Forese, anche se il rapporto migliore Dante lo aveva con quest’ultimo. Corso fu uno dei maggiori esponenti politici della Firenze a cavallo fra 1200 e 1300. Era un uomo che amava la politica e la violenza, ecco perché quando la città si divise in fazioni, scelse quella più riottosa, la parte nera dei Guelfi, divenendone uno dei capi assoluti. Dato il suo modo di fare, così aggressivo, venne soprannominato “Il Barone”.

Ancor prima della scissione dei Guelfi, il Sommo Poeta e mio fratello combatterono fianco a fianco per difendere la propria fazione dagli aretini Ghibellini. Lo fecero l’11 giugno 1289 nella piana di Campaldino, in Casentino. La zona, ancora oggi bellissima, appena sotto il Castello di Poppi che fu dei Conti Guidi, bagnata dal fiume Arno che nasce poco più sopra sul Monte Falterona, si macchiò interamente di sangue. La Battaglia di Campaldino fu infatti molto cruenta: entrambe le parti videro molti dei propri soldati esalare lì l’ultimo respiro, soprattutto da quei ghibellini brutalmente sconfitti. Dante all’epoca era giovanissimo, aveva appena 24 anni e per lui la guerra era cosa sconosciuta. Fu la prima e unica volta in cui si trovò a cavallo armato di pugnale e coraggio. Corso, invece, era uno dei condottieri che guidarono i Guelfi nella battaglia. Grazie anche alla sua bravura nel combattere, la fazione vinse e fece sì che Firenze divenisse una delle città più potenti e temibili dell’intera Toscana.


Le azioni compiute da questo mio fratello così fiero e violento furono moltissime… quasi tutte discutibili e dolorose per molti, tra questi io, sua sorella Piccarda. Il legame di parentela per Corso significava ben poco

Corso rapisce Piccarda

Quando sono nata e cresciuta io, Firenze era avvolta in un clima instabile fatto di violenza, intrighi e incerte alleanze. Ritirarmi nel convento di Santa Chiara mi avrebbe permesso sì di avvicinarmi al Signore, ma anche di allontanarmi dal quel mondo così irruento, frenetico, subdolo… Purtroppo però questo non bastò! Corso un giorno venne da me, ma non per farmi visita come avrebbe dovuto fare un buon fratello, bensì per prendermi e portarmi via di lì, da quel luogo a me così caro. Senza chiedermi il consenso, lui aveva già deciso di cedermi in sposa a Rossellino della Tosa, anch’egli esponente di spessore della parte Nera dei Guelfi. Il motivo era chiaro e semplice, nonché subdolo e malvagio: la nostra unione avrebbe apportato alla mia famiglia alcuni vantaggi economici e a Corso altrettanti riguardanti la sua carriera politica. Venni strappata dalla mia casa in un atto sacrilego che mi obbligò a venir meno ai voti. Nonostante questo, la bontà del Signore poi mi salvò: poco dopo il matrimonio lasciai il mondo terreno per risiedere tra i beati in Paradiso.


Corso, invece, fu ripagato con le sue stesse armi per il gesto inflittomi e per tutte le malvagità che aveva fatto a chiunque si fosse messo a guastare i suoi piani. Quel Rossellino, infatti, che per un certo periodo fu suo alleato e “amico”, ben presto si alleò con i tanti nemici che negli anni mio fratello si era creato. Il 6 ottobre 1308 venne da questi condannato a morte: colpevole di tradimento, così dicevano. Corso non si dette per vinto e provò con tutte le sue forze a fuggire dal terribile destino, ma fu tutto vano. Egli cadde da cavallo, ma rimasto nella staffa impigliato, venne dolorosamente e con furia trascinato per le strade polverose finché morte non sopraggiunse…

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Bibliografia e sitografia

Aleardo Sacchetto, Il canto di Piccarda Donati, in Dieci letture dantesche, Le
Monnier, Firenze 1960.
Alessandro Barbero, Alighieri Durante detto Dante, Laterza, 2020.
Alessandro Barbero, 1289. La battaglia di Campaldino. Gli anni di Firenze, Ebook, Laterza, 2019.
Dante Alighieri, La Divina Commedia ed. integrale, Europea Book, 2011.
Fausto Montanari, La Piccarda di Dante, in Miscellanea di studi danteschi: in memoria di Silvio Pasquazi, Federico & Ardia, Napoli 1993.
Marco Santagata, Le donne di Dante, Bologna, Il Mulino 2021

Ernesto Sestan, Donati Corso, in Enciclopedia Dantesca, 1970, sito.
Le Gallerie degli Uffizi, Piccarda Donati fatta rapire dal convento di Santa Chiara dal fratello Corso, sito.
Marco Bicchierai, 6 ottobre 1308: la morte di Corso Donati, sito.
Renato Piattoli, Donati, in Enciclopedia Dantesca, 1970, sito.
Simone Valtorta, Dante, poeta scurrile: la tenzone con Forese Donati, settembre 2016, sito.

Immagini

  1. Giovanni Bastianini, Busto di Piccarda Donati, 1855, fonte: Gallerie degli Uffizi.
  2. Gustave Doré, Dante Alighieri, Stazio e Virgilio incontrano Forese Donati, Illustrazione Purgatorio Canto XXIII, 1890.
  3. Miniatura contenuta nella Nova Cronica di Giovanni Villani, Corso Donati fa liberare dei prigionieri politici, XIV secolo, fonte: Wikipedia.
  4. La riserva dei Conti Guidi alla battaglia di Campaldino, fonte.
  5. Raffaello Sorbi, Piccarda Donati fatta rapire dal convento di Santa Chiara dal fratello Corso, 1866, fonte: Gallerie degli Uffizi.

Bella degli Abati, la mamma di Dante. La figura materna nella Commedia

Poche sono le informazioni biografiche relative all’infanzia di Dante Alighieri, nonostante la fama da lui poi raggiunta come poeta della Divina Commedia e padre della lingua italiana. Immaginate, quindi, quanto scarne possano essere le informazioni che ci sono giunte sulla sua mamma Bella.

La famiglia degli Abati

Stemma della famiglia degli Abati.
Fonte: Archivio di Stato di Firenze.

La madre di Dante era infatti, con ogni probabilità, Gabriella di Durante degli Abati, appartenente a una ricca e potente famiglia che abitava nello stesso quartiere degli Alighieri. Ciò spiegherebbe sia il nome del sommo poeta, che avrebbe così ereditato il nome del nonno paterno, sia il perché Durante degli Abati si fece garante di prestiti concessi ai fratelli Alighieri, Dante e Francesco. Gli Abati erano Ghibellini e gli Alighieri, come è noto, erano invece dei Guelfi. Ma ciò non deve stupirci poiché molto spesso i matrimoni fra le famiglie avversarie si combinavano proprio per porre una piccola tregua alle contese.

Il piccolo Dante Alighieri però rimase orfano della madre quando era ancora in tenera età e quando era poco più che decenne, anche del padre. Dante non racconta praticamente niente della sua infanzia, per cui non c’è neanche dato conoscere quale fu il rapporto con la seconda moglie del padre, Lapa Cialuffi. 

La figura della madre nella Commedia

Anche nella Divina Commedia, Dante accenna solo poche volte e vagamente, a se stesso e ai propri familiari. In particolare non nomina mai direttamente la propria madre. Ma il termine “mamma” compare certamente tra le terzine dantesche che descrivono il viaggio del poeta pellegrino nei tre mondi ultraterreni. Nel Purgatorio, esattamente nel V girone, Dante, con la sua guida Virgilio, incontra il poeta latino Stazio. L’ autore della Tebaide e della Achilleide, vissuto nel I secolo d.C. dopo essersi presentato, inizia una commossa esaltazione di Virgilio e della sua opera, affermando che l’Eneide, “la qual mamma / fummi, e fummi nutrice poetando” (Purg. XXI, 97-98). Stazio ci sta dicendo che l’ Eneide non solo alimentò ed educò il suo spirito poetico, ma fu una vera e propria madre che generò in lui l’amore per la poesia. Dante allora rivela a Stazio il nome della sua guida, Virgilio ed i tre poeti continuano il viaggio sul monte del Purgatorio, fino a quando, davanti a loro appare una processione che avanza lentamente verso il fiume Letè: siamo nel Paradiso Terrestre. In mezzo a una nuvola di fiori, vestita di rosso, coperta di un manto verde, con il capo cinto da un velo bianco, sostenuto da un ramo di ulivo, appare davanti agli occhi di Dante, l’amata Beatrice. Il poeta pellegrino, smarrito dalla forza dell’ amore che in quel momento lo prende, si volge verso Virgilio, accorgendosi però che il Maestro lo ha lasciato. Il sommo ci descrive quel momento così: 

“volsimi alla sinistra col rispitto
col quale il fantolin corre a la mamma
quando ha paura o quando elli è afflitto”

(Purg. XXX, 44-45).

Quindi Dante si paragona ad un bambino che corre dalla mamma quando ha paura o prova dolore esprimendo con estrema semplicità, tutto il suo affetto per “Virgilio dolcissimo patre” (Purg. XXX, 50).

Maria: la madre delle madri

Ed ecco che giungiamo nel Paradiso, luogo in cui la figura della madre delle madri, la Vergine Maria, è celebrata. Ora è Beatrice la guida di Dante. Una volta giunti nei pressi dell’Empireo appare davanti a loro la figura della Madre di Cristo, circondata dagli Apostoli. L’arcangelo Gabriele innalza un inno di lode a Maria, imitato da tutti i beati. Dopodiché ella ascende all’Empireo e mentre ella si allontana verso l’alto, i santi, per manifestare tutto il loro affetto, si protendono, si allungano verso l’alto, verso di lei. Dante li paragona a dei bambini che cercano di raggiungere la propria mamma tendendo le braccia: 

“E come fantolin che ‘nver’ la mamma
tende le braccia, poi che ‘l latte prese,
per l’animo che ‘nfin di fuor s’infiamma”

(Par. XXIII, 121-123). 


Anche all’Inferno

Ma il termine “mamma” lo troviamo anche nell’Inferno. Siamo nel cerchio dei traditori, nella zona detta Antenora, dove sono puniti i traditori della patria. Dante dimostra un totale e freddo distacco di fronte alla sofferenza di queste anime. Tale distacco trova forma nel dato espressivo utilizzato dal poeta nella Commedia proprio da questo canto in poi (“le rime aspre e ciocche,/ come si converrebbe al tristo buco/ sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce”, Inf. XXXII, 1-3). Descrivere ciò che il poeta vedrà nelle Malebolge, non è, infatti, 

“impresa da pigliare a gabbo
discriver fondo a tutto l’universo,
né da lingua che chiami mamma o babbo”
(Inf. XXXII, 7-9). 

Non si tratta, cioè, di un’impresa da prendere alla leggera descrivere il fondo dell’Inferno, creduto allora il centro della Terra e quindi il centro di tutto l’universo. Non è questa una visione che si può descrivere agli altri con una lingua infantile, dei bimbi piccoli che imparano a dire mamma e babbo.

Dante incontra un suo antenato

Avanzando sulla superficie ghiacciata del Cocito, Dante colpisce con il piede, una delle teste che da essa emergono. Il dannato chiede il motivo di tanta crudeltà. Il poeta vorrebbe conoscere il nome del dannato, ma questi non vuole rivelarglielo. Dante allora lo prende “per la cuticagna” (Inf. XXXII, 97). Dante, cioè lo afferra per i capelli e gli strappa diverse ciocche. Allora un altro dannato che appaga il desiderio del pellegrino rivelando il nome del traditore: è Bocca degli Abati, colui che a Monteaperti recise, con un colpo di spada, la mano del porta insegna della cavalleria fiorentina, provocando la sanguinosa sconfitta dei guelfi di Firenze contro i ghibellini di Siena. Un Abati, quindi, membro della famiglia della mamma di Dante, aveva provocato la tremenda e celebre sconfitta.

Gustave Doré, Dante incontra Bocca degli Abati.

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Bibliografia

Bargellini P., La splendida storia di Firenze. Da Giulio Cesare a Dante, Vol. 1, Firenze, Vallecchi, 1980
Santagata M., Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori, 2020Dante Alighieri, La Divina Commedia, con prefazione di Giuseppe Ungaretti, Milano, Fratelli Fabbri Editori, 1965